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Un po' di storia... |
I versi: "...era bel bello, / guida l'aratro con la mano lenta; /
semina col suo piccolo marrello: / il campo è bianco, nera la sementa",
sono tratti dalla poesia Piccolo Aratore di Giovanni Pascoli
contenuta nella raccolta Myricae, ma derivano da un antico indovinello veronese,
la cui soluzione è, appunto, l'atto dello scrivere, metaforizzato in termini di aratura dei campi.
La formula dell'originale era: "Se pareba boves alba pratàlia araba et albo versorio teneba et negro semen seminaba". Quanto a questo indovinello, riportato nel codice veronese dell'inizio dell'VIII secolo, gli studiosi della lingua italiana non sono ancora oggi d'accordo se considerarlo la prima testimonianza di volgare italiano o se si tratti ancora di latino medievale. Se si finisse per concordare sulla sua italianità, allora anticiperebbe il Placito Capuano del 960 d.C., attualmente considerato il primo documento in volgare nazionale. Si tratta di una atto giudiziario, per porre fine ad una lite circa il possesso di alcune terre: "Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trent'anni le possette parte Sancti Benedicti". Tradotto in italiano corrente: "So che quelle terre, entro quei confini qui descritti, per trent'anni le possedette il monastero di San Benedetto". In effetti, oltre all'indovinello veronese, ci sono anche altri documenti antecedenti al Placito Capuano, che potrebbero risultare le prime testimonianze di volgare italiano, come l'iscrizione romana della Catacomba di Comodilla, o il Glossario di Monza. Una curiosità: si dovette arrivare al 1926 perché l'indovinello veronese fosse svelato e si capisse il suo significato. Il merito fu di Liana Calza, a quei tempi studentessa della facoltà di lettere dell'Università di Bologna, la quale si ricordò che quando era bambina aveva imparato un indovinello che assomigliava a quel venerando documento medievale! |